ALESSANDRO RINALDI

DMAV_social art ensemble

CONFINI IN CADUTA LIBERA – L’evoluzione del lavoro di Davide Grazioli 

All’inizio fu il viaggio a guidare il lavoro di Davide Grazioli. E il viaggio come spesso accade presto si portò dentro i temi dell’altro e dell’altrove. Complice anche un incontro molto importante, come ripete l’artista, quello con Aldo Mondino (Torino, 1938-2005) del quale è stato assistente agli inizi e col quale ha anche condiviso il primo viaggio in India. “Mondino ha sempre dipinto un Oriente fantastico che era un altrove sognato e magico, ma immediatamente dopo essermi innamorato di questo modo di fare arte ho capito che era lui l’ultimo degli orientalisti, non potevano essercene altri nella nostra epoca” -racconta-. Per Grazioli invece era tempo di andarci veramente in quell’Oriente. Non più a trovarci quel tempo sospeso che spesso non c’è in Occidente, ma a trovarci il contemporaneo. E’ così che Grazioli ha iniziato a viaggiare come parte integrante del processo di lavoro. Prese forma l’idea di un atelier sempre in movimento, sempre in luoghi diversi, che potesse impregnarsi dei materiali e dei temi trovati. “Trovati”, “incontrati”, queste parole ritornano spesso: “Dieux Trouvés” è appunto il titolo di uno dei primi lavori nei quali iniziano a comparire gli Dei “di tutte le marche”, come li chiama Grazioli, che si scambiano di posto in un collage che svela simmetrie solo apparentemente improbabili. Quel lavoro era nato quasi da solo dopo aver istintivamente collezionato le icone di carta dei templi di strada che incontrava in India, centinaia di figurine “con molte più forme di divino di quelle che ero in grado di concepire” -dice- e forse è anche per quello che ha iniziato a sentire la necessità di semplificarle. Istintivamente il suo lavoro era diventato quello di “essere disponibile” e poi, di volta in volta, qualcosa di significativo sarebbe arrivato. “I quadri succedono” gli ripeteva sempre Mondino ed era proprio così anche per tutto il resto, ma c’era un lavoro incessante da fare: l’ascolto profondo, la disponibilità al qui e ora, la centratura nel flusso delle percezioni. E’ per questo che l’Asia è rimasta così vivamente presente nel lavoro di Grazioli: “quelle che a noi occidentali sembrano immancabilmente tecniche di concentrazione e rivelazione del Sè all’ultimo grido -dice- in Asia sono pane quotidiano da almeno quattro millenni”. Ed è proprio cosi che il processo artistico è andato avanti, lasciando entrare uno alla volta o tutti insieme i molti temi che affascinavano l’artista. Dapprima erano fascinazioni ingenue come la tipica ricerca occidentale di una spiritualità migliore e più autentica. Ma poi, gradualmente, qualcosa ha iniziato ad accadere: i confini tra questi concetti sono venuti ad assottigliarsi sempre di più fino a scomparire. Quella produzione artistica che, grazie al carattere inclusivo ed assimilativo tipicamente indiano, sembrava ricca e variegata si è nel tempo rivelata tanto interconnessa da ricadere gradualmente in un unico macro tema. Le marche della spiritualità “che mi stordivano danzandomi intorno come in un sogno di Hesse” erano presto diventate una sola, senza confini e senza icone. 

Questo ha permesso l’affiorare del tema ambientale che dai primi anni del duemila in poi ha fortemente caratterizzato la sua ricerca. L’Ambiente e la Vita, come unici veri oggetti di idolatria possibile nella visione di Grazioli. L’ambiente ed il miracolo della vita proprio come quella oneness, l’unità ricercata ed espressa dalla tradizione indiana che all’inizio gli sembrava così distante e così alternativa. L’idea dell’Uno. Proprio le intuizioni degli inizi, l’amore per Terzani, il viaggio per svuotarsi dei condizionamenti e la scoperta che i confini tra le culture non sono mai veramente così netti, si sono pian piano trasformate in una sorta di punto di arrivo. Sono confini che cadono quelli nel lavoro di Grazioli, che si dissolvono man mano che si va in profondità. “La vera sacralità è nella natura prima che nella cultura” sembra dire incessantemente l’artista, la vera bestemmia è andarle contro. Anche il tema della guerra che appare nel lavoro degli ultimi anni in realtà altro non è che un tornare a questa idea. Ogni guerra sfregia l’umanità e la natura, distrugge ogni forma di interdipendenza nella biosfera. In profondità, Grazioli lavora sul concetto della “cura” in un percorso in cui la componente etica dialoga con l’estetica, in una pulsione che ha l’urgenza di uno strappo da ricucire. Il risultato è un invito a una meditazione collettiva per tornare a questa vibrazione interna del nostro io che l’artista riconosce come vera espressione del Sacro, come elemento di risonanza con l’energia del Tutto. Una meditazione come unica e urgente cura, un antidoto alle emergenze che il mondo sta attraversando. Un rituale collettivo di presa di coscienza. Da qui nascono ad esempio le sculture di incenso, mirra e oro, oggetti d’arte espressivi, incisivi e al contempo impermanenti, capaci di svelare il senso di illusorietà del possesso: opere che portano con sé la caratteristica di poter letteralmente andare in fumo, difficili da possedere. Lavori a cavallo tra due dimensioni, il “qui e ora” concreto e presente e “ciò che è stato”, perduto nel fumo o smagliato per sempre. La metafora è quella dell’essere in bilico per fotografare il momento attuale. La sfida è generare l’empatia che salvi il delicato equilibrio tra noi ed il pianeta. Della natura non siamo i custodi o i rivali, semplicemente ne siamo “parte ed espressione” ripete Grazioli attraverso i suoi lavori, siano essi sculture, dipinti o ricami smagliati. Da questo percorso, in tempi più recenti si è sviluppata una connessione con l’idea dell’effetto profondamente terapeutico del processo artistico e con la visione di “arte sociale” portata avanti anche dal collettivo DMAV, con cui Grazioli ha iniziato a collaborare: altri passi nel cammino in cui si decostruisce la centralità dell’ego a favore di un dialogo e di uno scambio, in cui l’arte si mette concretamente al servizio delle comunità in un’opera di facilitazione al cambiamento. Ancora una volta, intenti a ricucire strappi, alla ricerca di una trama collettiva.