VITTORIA COEN
Critica d’arte e curatrice
C’è, da sempre, il viaggio di formazione del giovane romantico, c’è il viaggio d’istruzione in Europa del giovane rampollo di ricca famiglia americana, c’è il viaggio del pellegrino, del missionario, del mercante, del geografo, dell’avventuriero. Ognuno di questi può essere un andare verso, un fuggire da, un gesto di disperazione o di entusiasmo, un viaggio agli inferi, un’Ulissiade fra sirene, seduzioni decadenti, simbolismi orientaleggianti, allucinazioni, il mito dell’Italia per il poeta Goethe, il mito di Haiti per il pittore Gauguin, una varietà non misurabile. Eppure, dentro questa varietà, alcune linee esemplari si leggono.
Non era stato premeditato il viaggio di Robinson Crusoe, che diventa poi viaggio di purificazione, l’avventura rischiosa di Gulliver è un inesauribile intreccio di sorprese, tutti e due in forzata compagnia dell’utopia di Rousseau e della satira di Swift. Comunque, per l’artista, altra sponda creativa, altro orizzonte spirituale. Il viaggio di Goethe è quello del drammaturgo, del poeta, dello studioso autore di una teoria dei colori, estimatore dell’archeologo Winckelmann, quello di Klee con l’amico Mack in Tunisia è la scoperta del colore, di un artista che crede nella costruzione e nella regola. Poi, ciascuno a sua volta, dall’esterno all’interno e viceversa, sviluppa i propri fondamenti impliciti. Goethe, per esempio, approda al Divano Occidentale Orientale, un viaggio estetico nella poesia orientale, una sorta di smarrimento dell’europeo nutrito di solidi studi classici.

Nell’attrazione spirituale e culturale che cattura l’ artista Davide Grazioli al punto da immergerlo totalmente in quest’India dalla quale, a quanto pare, non si esce indenni, non vedo alcuna forma di esotismo di maniera. Grazioli allude ai “ponti magici” di cui parla Hermann Hesse, l’autore del notissimo romanzo di formazione che intitola, appunto, Aus Indien, due parole diventate familiari nel nostro linguaggio per esprimere uno stato d’animo, non un reportage. Che cos’è un ponte magico, se già ponte, per il solo fatto di esistere, può operare una magia, e perciò distruggere un ponte è, di fatto, un delitto contro il dialogo e la comprensione? Il magico è una peculiarità di certi rapporti privilegiati, occasione speciale di apertura e di illuminazione. Quando poi le sponde siano così apparentemente lontane e apparentemente alternative, il ponte magico colma ogni vuoto, abolisce isolazionismo e protezionismo. Se poi il riferimento ai ponti magici è proprio tratto dall’autore del Siddharta il rapporto sarà ancora più chiaro.

Il ponte non è soltanto una metafora, è una realtà da sperimentare e vivere personalmente, in modo diretto. Un rapporto di qualità eccezionale, come quello di Grazioli con l’India, non ha cancellato quello che, certo in modo imperfetto, si potrebbe definire il suo io di prima. La sua fondamentale ricerca della pace non mi sembra che abbia demolito l’altro mondo, lo ha piuttosto messo a confronto con uno spirito analitico che, cancellando gli steccati, ha dato sapore e consistenza ad una scelta di vita che fosse in grado di ritrovare l’unità, quella appunto, che i ponti rendono possibile scoprire.

Due mondi, l’occidentale e l’orientale, si ritrovano infatti, in certe situazioni particolari, quelle in cui parla una materia, prima che una storia dentro, e avvicina le periferie derelitte delle metropoli, Calcutta e la sua miseria, New York e i suoi splendori, una medesima condizione di abbandono nella quale non c’è differenza fra i relitti di una società consumistica rapidamente invecchiata, e quelli di una società che si sta trasformando velocemente e può già mostrare segni di perdita prima ancora di aver percorso tutti i lenti passaggi delle trasformazioni consuete.

Perciò carcasse di automobili abbandonate, dettagli di incidenti stradali, insegne sui muri scrostati, l’iperrealismo che la realtà visibile, esposta agli sguardi senza filtri e censure, rende più convincente delle immagini pittoriche della “creazione” iperrealista che si affiancano a quelle della stampa digitale, con altre automobili in condizioni perfette, imposte su sfondi fortemente cromatici che scrivono tutt’altra storia, quella dell’Asia e della sua tradizione. Allora ci chiediamo, e non sembri pleonastico, che cosa possa essere uno spirito del tempo asiatico. Una diversa misura del tempo e la sua dismisura. Meglio, una contemporaneità che non subisce contraddizioni.

Grazioli dice che i quadri “succedono”. Sarà come la sabbia che scorre, scivola, ma non si annulla, come non si è annullata una tradizione difesa per secoli, che ora si trova di fronte l’irruzione violenta di una modernità estranea. I pittori di insegne che l’artista coinvolge in un’operazione insolita hanno il compito di fissare i documenti di una realtà che deve essere conservata come in altri tempi altre testimonianze preziose. E non importa che non si tratti di opere d’arte, ma soltanto del quotidiano, certamente di breve durata. Se c’è contraddizione far la durata breve del contemporaneo e la durata delle opere plurisecolari, può essere la presa di coscienza a colmare le distanze.

Nel percorso di Grazioli c’è, infatti, un aspetto molto vitale: il rifiuto della rassegnazione ad essere uomo- macchina. Tutto il suo lavoro, anche quello meno letteralmente rivolto alle fonti asiatiche, è un avvertimento, non a lasciarsi andare ad ipnosi esotiche, ma a saper leggere in altre civiltà più portate alla meditazione, meno prese da troppe urgenze, quale può essere l’elemento equilibratore, una terapia per le personalità diventate sorde, stagnati in una presunta normalità convenzionale, un invito, insomma, a rientrare in se stessi. Così avviene quando l’artista rappresenta con le sue culture di incenso gli animali in estinzione come il rinoceronte o la balena, così come la bellissima tigre dipinta su legno. Questa meditazione che respira nell’Oriente, non solo non annulla l’identà, ma la potenzia e la mette in luce, con l’attenzione e qualche volta, perfino con l’ironia.

Un tessuto mitico non è una favola per menti deboli. Non occorrerebbe ripeterlo, dopo tanti studi che le scienze umane hanno condotto sull’argomento, guardando invece al mito come ad una speciale forma di sapienza, nell’ambito di un’attenzione nuova a manifestazioni rivelatrici, al di fuori di ogni dubbio, alla profonda serietà e all’insostituibile lezione che esse offrono. E’ infatti riduttivo relegare fonti oniriche ed illuminazioni nel campo di piacevoli divagazioni per spiriti fanciulleschi o disturbati. Non è uno spettacolo ludico per curiosi, questo mondo che il mito rivela con i suoi mezzi, e l’arte ispirata al mito esprime. Sia che si tratti di un bello inteso nelle ottiche tradizionali dell’Occidente, sia che esso sorprenda attraverso poetiche alternative, resta immutata la sua profonda serietà.